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Cittadini del mondo


Piergiorgio Cattani


Con l’articolo di oggi vogliamo ringraziare l’amico Piergiorgio Cattani, direttore di Unimondo, per l’attenzione che ci ha dimostrato da sempre e particolarmente nell’ultima settimana.

In un suo pezzo giornalistico in cui tratta del “cosmopolitismo” come ideale e come progetto giuridico (qui di seguito), ha dato spazio e spessore a quelle stesse idee che proponiamo sul nostro sito e che animano il progetto Apriamoci per l’accoglienza delle persone richiedenti asilo. Come lui ha notato, il grave atto di intimidazione che i nostri ragazzi ospiti a Roncone hanno subito lo scorso 24 marzo è arrivato poche ore dopo che avevamo postato un articolo “Integrazione? … non basta”.


GRAZIE Piergiorgio! E’ bello sapere che andiamo avanti insieme, con te e Unimondo!

Occorre sempre ritornare sui classici. Per capire noi stessi, per affrontare il tempo presente. Uno di questi scritti a cui attingere è senz’altro il volumetto intitolato “Per la pace perpetua” di Kant, edito nel 1795. È un esile testo che contiene forse la più articolata proposta per la creazione di un ordine internazionale, basato sulla ragione e sul diritto, capace di portare l’umanità a una pace duratura, completa e realizzabile. Non solo: è anche un manifesto – forse utopico – di impegno personale per ogni cittadino del mondo. Kant, nella quiete della sua città natale Königsberg (l’attuale Kaliningrad, enclave russa), aveva già un pensiero globale, tendenzialmente aperto a considerare tutti gli uomini, in quanto tali, portatori di diritti inalienabili. Kant parlava di diritto “cosmopolitico” in cui una parte fondamentale giocano le “condizioni di universale ospitalità”. Esse si riassumono nel diritto di uno straniero che giunge sul territorio di uno Stato a non essere trattato in maniera ostile. Questo è presupposto per una possibile reciprocità condivisa e pacifica. È necessario il mutuo riconoscimento di essere tutti concittadini del mondo, abitanti di un’unica città (da cui il termine cosmopolitismo), coinquilini di un pianeta sempre più piccolo. Non credo che gli autori degli atti vandalici e intimidatori contro alcune residenze adibite all’accoglienza dei rifugiati in Trentino abbiano mai letto Kant. Eppure Roncone, Lavarone o Soraga non sono luoghi così isolati e chiusi da non consentire almeno la possibilità di aprirsi ad orizzonti più vasti. Non sono paesi più riposti di come era Königsberg alla fine del XXVIII secolo. E neppure sono più poveri – culturalmente ed economicamente – del comune di Riace, in Calabria. Fino a 20 anni fa Riace era un paese destinato alla morte. I giovani erano emigrati. Il futuro non esisteva. Finchè sono arrivati loro, gli stranieri, quelli che vengono dipinti da alcuni come gli “invasori”. E Riace risorge poco a poco. Grazie ad amministratori oculati e a una propensione della gente all’ospitalità, l’integrazione dei nuovi arrivati nella vita della comunità è riuscita. Soprattutto attraverso il lavoro: laboratori artigianali, progetti di riqualificazione ambientale, manovalanza per agricoltori, attività con gli anziani… Questi richiedenti asilo sono retribuiti attraverso “buoni” da spendere all’interno del comune. Questo clima ha favorito la loro inclusione: i migranti ora si sentono parte attiva del paese. I gesti di intolleranza, avvenuti qua e là in Trentino, non devono essere sottovalutati. Vanno assimilati a quanto accade nelle piazze virtuali dove si incontrano parole intrise di odio verso gli immigrati. Sono l’esito dei commenti violenti e istigatori di violenza pronunciati da certi politici. Sono frutto di un clima di esasperazione spesso costruito ad arte. Comunque non rispondente alla realtà concreta. Certamente noi trentini siamo spesso montanari diffidenti. Vorremmo preservare l’identità dei nostri paesi. Molti non comprendono il perché della necessaria accoglienza. Sono impauriti da queste persone – giovani, che non parlano la lingua, che vengono da chissà dove. Eppure sarebbe davvero sbagliato trattare gli abitanti della periferia trentina come ignoranti che non possono capire la strada su cui sta correndo il mondo. Anche questo è falso. Non ci saranno filosofi come Kant, ma la stragrande maggioranza della gente manifesta solidarietà e senso di umanità. Gli episodi positivi si moltiplicano, però sovente trovano la loro evidenza solo “in contrapposizione” a eventi spiacevoli che sconcertano il buon senso di tutti. Le nostre comunità sono accoglienti. Dobbiamo essere più fieri di questo, dimostrandolo non solo con le azioni concrete già messe in campo, ma rivendicando un modello possibile e avanzato di convivenza. I “cittadini del mondo” che approdano sulle coste della Sicilia e che giungono ai piedi delle Dolomiti, sono uomini e donne come noi. Sono cittadini, ma non ancora legalmente. Neppure i loro figli, nati in Italia, sono cittadini italiani. Ciò non toglie che essi – non importa se sia per natura, per ragione, o quant’altro – sono persone come noi. Cittadini del mondo. Cosmopoliti. Siamo noi stessi allo specchio. Bisognerebbe andare oltre la sfida dell’accoglienza. Sul sito dell’associazione More, che proprio di Roncone gestisce un gruppo di rifugiati, si leggeva un commento postato poche ore prima del sabotaggio incendiario della notte di giovedì 23: “Si può andare oltre, e vedere in tutti, anche in questi nostri fratelli profughi, persone ricche di umanità, di forza, di intelligenza, di valori, di cultura …”. Qualcuno sbeffeggia tutto questo come utopia di anime belle. Ma quali sarebbero le alternative per affrontare la questione dei migranti? Non ce ne sono. Non ci sono alternative neanche per noi, per affrontare il nostro futuro. Lo abbiamo già detto tante volte. Dal punto di vista demografico, molti nostri paesi rischiano di sparire. Non lamentiamoci poi per la soppressione de alcuni punti nascita. I centri storici della periferia rischiano di morire. Di ridursi a quei “villaggi dai camini spenti” come recita il titolo evocativo di alcuni libri di Alberto Folgheraiter. E questo il nostro destino? Borghi in cui non arde più il fuoco della vita? In cui non rimane altro che ricordi e silenzio?

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